Marco Sala, classe IV, ci racconta la sua esperienza di scambio culturale in Canada.
Buongiorno a tutti, sono Marco Sala alunno di classe IV del Liceo Scientifico “Romano Bruni”, e poco più di un anno fa ho fatto una scelta che ha cambiato la mia vita.
Sono sempre stato una persona molto autonoma: mai a casa, un amore verso il viaggio e la volontà di spiccare il volo da solo, senza l’ausilio dei miei genitori.
Tutto è iniziato alle scuole medie: ho frequentato la “Villa Grimani International School” dove ho imparato l’Inglese e ho sviluppato un vero e proprio amore verso le lingue. La mia era una vera e propria volontà di esplorare, diversa da quella degli altri giovani che dicono “mi piace viaggiare” e quindi verso ottobre del 2015 ho iniziato a pensare di partire da solo per un paese estero senza genitori. La farò breve, dopo costanti discussioni con i miei genitori che temevano, conoscendomi, che non sarei più voluto tornare a casa, li ho convinti a fissare un colloquio con l’associazione “MB Scambi Culturali” e nel giro di due mesi mi sono trovato a dover decidere dove volevo passare cinque mesi della mia vita da sedicenne: continente, stato, provincia e città.
Non ho esitato perché volevo un paese economicamente avanzato che mi permettesse di capire ciò che in Italia non funzionava e quelli che erano, invece, i nostri punti di forza. La scelta è stata il Canada, più precisamente Vancouver che è una città della British Columbia (costa Ovest). Il 21 dicembre ho detto la precisa frase a mia mamma: “Voglio andare, ho deciso”. Lei annuisce titubante e due giorni dopo feci il mio “autografo” sull’infinito plico di carte chiamate “Application form” che non immaginavo sarebbe raddoppiato se non triplicato.
La data della partenza era fissata per il 29 agosto. Quel giorno è arrivato in un battibaleno. Emozionato mi sono imbarcato su un volo per Londra e poi via a Vancouver. Ero con un ragazzo e una ragazza di Padova e ricordo ancora il mio sorrisino da idiota nell’aereo mentre pensavo a cosa mi stava succedendo.
Quello che non immaginavo è che quel ghigno si sarebbe trasformato in un’espressione di timore quando, arrivato, la mia “Host Family” mi è venuta a prendere con tanto di cartellone fatto dai bambini. Ero affascinato mentre mi portavano a casa: strade larghe, cartelli verdi, nessun guidatore attaccato al clacson ma soprattutto l’aria fresca canadese.
Avevo un fratello Messicano di 14 anni con cui ho legato molto (anche perché aveva la sua Xbox One), e non scrivo “fratello” tra virgolette perché lo sento tutt’ora come un mio vero fratello. I primi giorni dove abbiamo fatto un “Orientation” (Dove ci hanno spiegato come funzionava il tutto) li ho passati con gli altri Italiani. Ci chiamano “Exchange Students”, ovvero persone abbastanza intraprendenti da mollare casa e partire verso l’ignoto alla tenera età di 16 anni; può sembrare il sogno di tutti ma nessuno oltre a noi può e potrà mai capire a cosa si deve andare incontro emotivamente e fisicamente.
Molti mi chiedono come sia stato ma è impossibile raccontare questi cinque mesi: ho mangiato in ristoranti di sette diverse nazionalità tra cui uno all’altezza di 73 metri nel centro di Vancouver, fatto il bagno il primo di gennaio a English Bay (Una spiaggia perfetta per i tramonti), sciato a Cypress Mountain vedendo panorami mozzafiato ma soprattutto conosciuto un numero impressionante di persone.
La scuola è molto diversa: 1.500 persone, cambio aula ad ogni ora, e la libertà di scegliere le materie che si avrebbe voluto fare. Iniziavo alle 8:40 e finivo alle 15:00; le mie materie erano suddivise in due giorni: chimica, inglese, storia, matematica il primo e fotografia, marketing, arte e biologia il secondo (e poi si ripetevano). Si poteva usare il cellulare e mangiare in classe (cosa utile nel caso dovessi cercare informazioni o avessi saltato pranzo…) Eppure gli studenti di lì sono molto responsabili e ben pochi utilizzano il cellulare per mandare messaggini e fare cose diverse dal lavoro scolastico. Chissà cosa succederebbe in Italia! L’unico difetto era la durata della giornata, veramente troppo lunga e quando si usciva da scuola erano già le tre di pomeriggio anche se, naturalmente, il carico di compiti era minore. Il mio inglese era già buono alla partenza e per questo sono stato inserito nella classe più avanzata e in più di una occasione ho preso voti nei temi più alti di alcuni Canadesi (ora posso parlarlo fluentemente anche se sempre con qualche errore grammaticale).
Ho avuto tantissime occasioni di confrontarmi con molte persone di diverse nazionalità nel corso dei cinque mesi, essendo il Canada un paese totalmente multiculturale, che hanno permesso alla mia mente di aprirsi e fare molti paragoni tra le loro abitudine e quelle “italiane”: per esempio lì le persone sono molto educate, cortesi e molto patriottiche; oppure ho notato che utilizzano in quantità industriale di cibo surgelato (ciò nonostante la mia “Hostmum” cucinava quasi meglio della mia mamma italiana!). E poi conservo nella memoria questo episodio: uno dei primi giorni vedo il pullman arrivare, allora mi faccio largo a spintoni con le cuffiette nelle orecchie ed entro dalla porta concepita per far scendere i passeggeri, mi siedo, mi guardo introno e capisco di esser “italiano”; tutti (e dico TUTTI) mi guardano malissimo finché uno mi dice: “There’s a line outside man”. Ma dovevo fare la fila per prendere il pullman? Scioccato fisso il vuoto sia capendo la figura che avevo fatto sia rimanendo attonito per via dell’organizzazione di quel paese e del modo con cui la gente rispetta le regole. Pensare che era solo l’inizio…
Mi pare poi di avere capito cosa manca all’Italia e in cosa siamo meglio noi: abbiamo uno stato fantastico che l’intero mondo ammira ma è gestito veramente male e ciò è la conseguenza della gestione politica degli anni passati che hanno portato alla crisi; tuttavia noi abbiamo una mentalità più flessibile, e se c’è un problema, troviamo una strada alternativa anche se non è quella più consigliata mentre i Canadesi sono troppo “ingessati” (rispettano troppo le regole per filo e per segno senza farsi domande) e a volte questa cosa li rende un po’ingenui. Senza dubbio non sanno cosa significhi essere in un paese nel mezzo di una crisi economica.
È veramente impossibile dire tutte le emozioni da me provate, scariche di adrenalina, felicità nel pensare di essere a 8631 km da casa a 17 anni (ho passato il miglior compleanno della mia vita in Canada), tristezza nel vedere gli amici lontani ma soprattutto mi sentivo un tassello di un gruppo di persone molto legate tra loro. Il rapporto con le persone è stato un aspetto importantissimo del mio soggiorno: oggi mi tengo in contatto con ragazzi e ragazze da trentadue paesi diversi e uno di loro verrà da me questa estate vista l’amicizia creatasi; l’amicizia tra “exchange students” è fortissima e proprio per questo ci si capisce al volo, perché, se ci pensate, per prendere una decisione simile a quella che ho fatto, bisogna avere una mentalità uguale: sono tutte persone caratterialmente uguali con la stessa voglia di esplorare e crescere di te. Magnifico. “Assurdo!”. In certi momenti fissavo il planisfero cercando di rendermi conto dove fossi io e dove fosse casa mia, sono serio, mi sentivo abbastanza idiota ma ripensandoci ora avrei dovuto farlo più spesso.
Purtroppo in un attimo è arrivato pure il giorno di tornare a casa, il 23 gennaio per me. Tutti in aeroporto sono venuti a salutarci (partivamo in sei) e sono scese tante lacrime perché è bruttissimo salutare qualcuno chiedendoti “Lo rivedrò mai? Non penso…”.
A quel punto ho perfino odiato il Canada perché avevo costruito una vita per cinque mesi e poi me ne sarei dovuto andare. Mi dico che questo è il prezzo da pagare e tutt’ora ho momenti di depressione totale o flashback di momenti passati dall’altra parte del mondo.
Una volta tornato, riprendere a studiare è stato difficile all’inizio a causa della continua velocità con cui mi ritornano in mente i ricordi di questa esperienza. (Il mio prof di Italiano mi ha persino detto che sembravo avere la testa tra le nuvole; ed in effetti era vero!)
Però lo rifarei mille e mille volte. Questa frase me la ripeterò sempre: lo rifarei mille e ancora mille volte.
Sono cresciuto, ho avuto la possibilità di lasciare casa a questa età e ne sarò eternamente grato ai miei genitori. Chiunque (e dico chiunque) dovrebbe farlo, chi ha la disponibilità parta, chi non ce l’ha cerchi di studiare e prendere voti buoni in III superiore per prendere una borsa di studio perché, fidatevi, è un esperienza che ti cambia la vita, e la si può fare solamente una volta. Quindi se avete una mezza idea o volete informazioni extra non esitate a chiedere di parlarmi perché la fortuna di poter parlare con qualcuno che aveva fatto questa esperienza io avrei tanto voluto averla.
Se sono tornato cambiato? Sicuramente, gli stessi prof me l’hanno detto, però non pensate che ora abbia appreso una lezione che mi ha trasformato per sempre o cose del genere, no. Ho imparato molto ma ciò che è cambiato in me è l’apertura mentale: la mia visione del mondo e della vita è cambiata, vedo le cose con un raggio molto più ampio dei miei coetanei. Per fare un semplice esempio dire, in una interrogazione di Storia dell’Arte, “L’illuminismo si sviluppa in Europa” è necessario perché io vedo il mondo considerando tutti i continenti e non solo i paesi circostanti all’Italia.
E ho imparato una cosa che bisogna ricordarsi sempre: tutto ciò che facciamo in più ci può servire nel futuro; insomma: tutte le nostre azioni hanno delle conseguenze o come si dice in inglese “What goes around comes around”.
Marco Sala, IV° Liceo Romano Bruni